
Sotto lo stesso tetto
28/07/2022
L’estate di San Lorenzo
01/08/2022Ti Amo Maria
di Giuseppe Manfridi Regia: Luca Gaeta conGIULIA BORNACIN e STEFANO SCARAMUZZINO Scene di Giulia Bornacin Fotografia Loredana Pensa Grafica Daniele e Valeria De Leo Elaborazione digitale Tina Tripodo Ufficio Stampa Compagnia Andrea Cavazzini
Ti amo, Maria! è una bruciante storia d’amore. Un uomo si apposta, ubriaco e stravolto da una passione rinata all’improvviso, dinanzi alla porta di una donna persa nel tempo e che, a ritrovarsi quello strano individuo di fronte, quasi stenta a riconoscerlo. “È ricominciato con un sogno, con un sogno che mi ha rimesso voglia.” dice lui, strafottente. A questo primo incontro ne seguiranno molti altri e sempre lì, in quella terra di nessuno che è il pianerottolo di un qualsiasi palazzo di una qualsiasi città. Maria si ribellerà, rifiuterà, urlerà, ma non servirà a nulla. L’assedio di Sandro è impietoso e struggente. Maria dovrà soggiacervi. La lotta si trasformerà in complicità ma il connubio che ne scaturisce è consentito solo dalla natura clandestina, quasi criminale, di quegli incontri. I notturni della commedia sono scanditi da un jazz lacerante che ribadisce l’altro invasamento di Sandro: quello per la musica, per quella musica nella quale egli avrebbe tanto voluto eccellere senza mai esservi riuscito. Di scena in scena, i dialoghi che si intrecciano fra i due amanti di un tempo si faranno sempre più serrati e graffianti, e gli sviluppi della vicenda si tingeranno di pathos sino a un esito finale imprevedibile che ha quasi il sapore del giallo. Giuseppe Manfridi
Un pianerottolo in salita come fosse una scala cronologica o misuratore d’amore o il simbolo della fatica di vivere. La scena quasi bidimensionale ma distorta. Tutto è distorto se l’amore è una malattia. Due porte; una in basso: inferno di solitudine, l’altra alta: dove prosperano in potenza le idee di amore. Nel mezzo un ascensore: un grigio freddo e lucente luogo dove salire o scendere nei sentimenti della vita. Un purgatorio in terra. Due attori che si muovo lungo questo asse, come sotto tiro. Schiacciati alla parete delle loro dinamiche sentimentali. Pupazzi in mano alla storia. Storia che è il giudizio dello spettatore. Amore malato. Maria, il più alto dei nomi per una donna, è l’essenza simbolica della grazie che perdona. Ma Maria è anche la più grande la peccatrice della storia. Allora il nome si fa duale. Amore beato, amore di sangue e peccato, di carne e violenza. In mezzo un uomo troppo più grande. Troppo più malmesso. Un cane solitario che forse non sa neanche più mordere, ma solo abbaiare. Troppo sbagliato per essere quell’amore ideale, idealizzato. Troppo terreno. Troppo bambino immaturo. Chiuso nel suo mondo legato ad oggetti feticcio. L’amore è un feticcio? Forse qui l’amore è come un veleno, un veleno che deforma il tempo e lo spazio e la logica dei sentimenti, dei ricordi, delle cose fisse e delle cose molli, della luce, delle persone. L’amore che deforma ogni punto di vista. L’amore diventa così violenza. L’amore allora muore. In un mondo fratturato due corpi restano uguali perché le vittime non cambiano mai. Le vittime restano sempre identiche a se stesse. Ma in questo mondo, dove l’esistenza è questo claustrofobico passaggio su di un unico pianerottolo, vittime e carnefici sono uguali. E le vittime hanno bisogno di un crimine per essere tali. Allora questo crimine va indagato. Un crimine è sempre un mistero incomprensibile che ha bisogno di elementi, elementi che sono sparsi nel tempo. Elementi imprecisi che vanno raccolti come in una scatola degli oggetti smarriti, oggetti e momenti che vanno guardati attentamente come in un confronto all’americana. Un puzzle da ricomporre in mano al pubblico, che come un detective, assemblerà la storia sparsa nel tempo e nello spazio scenico, in questo caso ridotto ad una visione da cubismo analitico, utile a guardare la storia da più parti, da più punti di vista, fatta di realtà distorte. Picasso che incontra Nolan si potrebbe azzardare. Perché l’amore è il mistero più grande. La malattia più forte. L’ultima possibile prima della fine.